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COME SVOLGERE AL MEGLIO LA RELAZIONE MISTER BAMBINO A SCUOLA CALCIO?

  • Dottoressa Maria Iadicicco
  • 17 mar 2016
  • Tempo di lettura: 6 min

“Allenare è guidare insieme persone con diverse esperienze, talenti, interessi, incoraggiandole ad assumere la responsabilità del loro ruolo, portandole ad un continuo miglioramento...”

(Tom Peters e Nancy Austin)

Oltre ad avere capacità tecniche, tattiche e schemi di gioco ciò che rende stimolante e al tempo stesso complesso il ruolo di allenatore è il suo compito di leader e di educatore dei suoi ragazzi, oltre che saper fungere da argine e filtro rispetto alle figure genitoriali.

Il ruolo dell’allenatore deve essere innanzitutto quello di:

Motivare il piccolo atleta, enfatizzando l’aspetto ludico dello sport.

Saper ascoltare ed avere capacità di comunicare; il rispetto nasce anche dal dimostrare la volontà di ascoltare gli atleti per tirare fuori che cosa hanno dentro.

Saper insegnare e non solo avere conoscenze tecniche.

Dare entusiasmo, con la voce, con il corpo e con l’esempio sul campo.

Comprendere l’importanza dei piccoli problemi.

Il gioco è un’attività motoria importante e serve ad assolvere svariate funzioni: esplorazione, il bambino osserva il suo ambiente e ne fa conoscenza; acquisizione di abilità fisiche specifiche tramite giochi di movimento e di precisione; fortificazione dell’organismo, anche in questo caso tramite i vari giochi fisico-motori; aumento del senso di sicurezza e di autostima attraverso la socializzazione e l’acquisizione di abilità logiche, di fantasia e di regole.

E’ per questo motivo che le scuole calcio hanno oggi più che mai la necessità di essere guidate da istruttori che credono nell’aspetto psicopedagogico del loro ruolo e non si preparino più solo dal punto di vista tecnico-tattico, ma soprattutto sotto il profilo umano e relazionale. L’allenatore che lavora in una scuola calcio dovrebbe essere riconosciuto in quanto educatore, che nell’istruire allo sport insegna al bambino ad esprimere le sue potenzialità al meglio, intendendo con queste non solo le capacità tecniche, ma di socializzazione in un gruppo, di gestire l’ansia attivata dal mettersi in gioco, la capacità di diventare autonomi negli spogliatoi, di rispettare l’autorevolezza dell’allenatore. Prima di formare calciatori, devono guidare bambini e per farlo gli istruttori devono imparare a cambiare il loro punto di vista di adulti e ragionare con gli occhi ed i bisogni dei piccoli.

Ma come avvicinarsi allora, a livello umano, ai bambini che si iscrivono ad una scuola calcio?

In questo difficile ruolo che il mister si trova a svolgere ciò che prima di tutto dovrà tenere a mente è che in quell’ora a contatto con gli allievi egli diventerà il loro adulto di riferimento e dovrà svolgere un’importante funzione educativa; a tale scopo dovrà imparare ad evitare stili educativi patogeni per migliorare la relazione con i suoi allievi.

Il primo atteggiamento da evitare è la coercizione che stabilisce solo rigide regole da seguire. Questo stile ignora i bisogni del bambino completamente e implicitamente si trasmette il messaggio: “i tuoi bisogni non sono importanti”. Questo atteggiamento non solo non favorisce lo sviluppo dell’autostima del bambino, ma lo allontano dallo sport e non permette l’instaurarsi di un rispetto sano nei confronti del mister. A questo stile si lega quello punitivo; in questo caso il mister ricorre ad una serie di punizioni se non ottiene dai suo allievi ciò che desidera. Tale atteggiamento porta il bambino ad accumulare tensione, ansia e rabbia, tutte emozioni che minano una crescita sana e si allontano dallo scopo che il calcio come gioco vuole raggiungere. A questi atteggiamenti si può aggiungere il perfezionismo patogeno, che vede l’allenatore sempre insoddisfatto per le prestazioni dei suoi giocatori: “Potevi fare di più, dovevi fare meglio”. Ancora una volta uno stile di questo tipo non favorisce l’avvicinamento del bambino allo sport e può generare nei ragazzi grande senso di frustrazione. Il rovescio della medaglia è rappresentato da un atteggiamento del mister troppo remissivo e caratterizzato da uno stile indulgente che fa annoiare e priva di motivazione l’atleta.

Come condurre allora al meglio i propri allievi?

Il buon allenatore deve prestare attenzione a non cadere in simili errori e, per diventare leader, deve adottare uno stile autorevole: stabilire regole che vanno discusse e spiegate, stando attento all’ascolto dei bisogni e delle differenti personalità che si trova di fronte.

Per fare ciò, egli deve affinare le sue doti comunicative e di ascolto, deve avere passione, capacità di relazionarsi, una personalità equilibrata, sufficiente autostima e dovrebbe essere organizzato in modo da soddisfare il maggior numero delle motivazioni espresse dagli atleti. Compito del tecnico è dare un obiettivo all’atleta che sia impegnativo e nel contempo raggiungibile. L’identificazione degli obiettivi è uno dei punti chiave per stimolare la motivazione e migliorare le prestazioni.

Come dovrebbe comportarsi allora un bravo allenatore?

Per ottenere tutto ciò il mister deve imparare a saper essere prima di tutto: a trasmettere sensazioni positive, rinforzare la prestazione, incoraggiare dopo un errore, dare indicazioni tecniche dopo un errore, dimostrandosi preparato e competente, utilizzare lo stile autorevole (né autoritario né del lasciar fare). Sicuramente dovrebbe manifestare interessamento e vicinanza, apprezzamento, fiducia e incoraggiamento, aiuto per risolvere le difficoltà, concorrere alla formazione di un buon senso di auto-efficacia e di autostima. E’ importante sottolineare i comportamenti positivi con i rinforzi come la propria approvazione: "Bravo”, "Bene" e valorizzare ogni progresso per aumentare l’autostima. Un tratto della personalità dal quale non si può prescindere se si deve guidare un gruppo è l’empatia: la capacità di assumere come proprio il punto di vista di altri individui, per capire come ognuno percepisce e vive eventi ed emozioni; è quella risorsa alla quale l’allenatore può attingere per comprendere interessi e bisogni dei suoi atleti. Un bravo allenatore dovrebbe arrivare all’allenamento carico di entusiasmo; trasmettere sicurezza, affetto, accoglienza, serenità, dovrebbe essere munito di enorme pazienza; non dovrebbe rimproverare ma, al contrario, incoraggiare e motivare; rinforzare i comportamenti positivi. L’allenatore ha una grande importanza nello sviluppare le motivazioni giuste: graduando le prove con le quali l’atleta deve cimentarsi, trovando le ragioni convincenti per mettere l’atleta ogni volta alla prova, negoziando il raggiungimento di mete sufficientemente (ma non esageratamente) difficili, monitorando i progressi dell’atleta. Quale atteggiamenti evitare?

Bisogna evitare di far vedere a tutti i costi chi è che comanda; chi crede di possedere tutte le idee e le soluzioni e rifiuta quelle degli atleti ha paura che si intacchi la sua autorità, non è disposto a mettersi in discussione e dunque destinato a non crescere. Inoltre è fondamentale ricordarsi che ogni bambino è diverso dall’altro e soprattutto che un’umiliazione davanti ai compagni non serve ad ottenere un comportamento desiderato ma solo a minare l’autostima del bambino. A questo proposito è bene che il mister si ricordo ogni tanto che, oltre ad avere a che fare con un gruppo, deve imparare a gestire anche le singole individualità, stando attento ai bisogni del singolo allievo.

Come sviluppare adeguate abilità relazionali?

Essere leader formalmente non basta. Dovrebbero essere gli atleti a riconoscergli tale autorità. Il primo passo da compiere allora sarà proprio cercare di conquistarsi la stima ed il rispetto dei suoi atleti.

Capacità di mantenere sempre la calma, il contatto con la realtà, la lucidità per esaminare problemi e cercare possibili soluzioni così egli trasmetterà la stessa tranquillità anche alla sua squadra, che sarà capace di non esaltarsi oltremisura nelle vittorie e di non perdere la fiducia nei momenti di affanno. E soprattutto affinare le proprie capacità comunicative. E’ di fondamentale importanza esprimere le critiche in maniera corretta; il mister deve imparare a distinguere tra critiche distruttive e costruttive.

Le prime sono generiche svalutanti, totalizzanti con uso dei termini “sempre”, “mai”, “tutto”, “nulla”. Questo genere di critiche creano nel bambino sentimenti di colpa, ansia, rabbia, inadeguatezza e ribellione, soprattutto se fatte di fronte al resto della squadra.

Le seconde invece sono specifiche, situazionali e descrittive: esprimono uno specifico negativo in un contesto globale positivo. Sono di beneficio per l’allievo e per l’intera squadra. Dunque è opportuno quando si ritiene utile e necessario fare una critica imparare a sottolineare gli aspetti positivi di colui che si intende criticare, fare riferimento ad un comportamento concreto e specifico, non tornare su fatti passati, aspettare di essersi calmati e scegliere il momento e luogo adatto per discuterne. Iniziare il discorso riconoscendo ciò che di positivo c’è nell’allievo e descrivere il comportamento da riprendere , le reazioni suscitate, il comportamento invece desiderato e le conseguenze positive che questo avrebbe potuto portare. Evitare accuse, minacce, sarcasmi, squalifiche, ironie e comparazioni umilianti. Dopo la critica è importante dimostrarsi disponibili, dialogare fino a trovare una soluzione e incoraggiare cambiamenti positivi. Da non sottovalutare è il linguaggio del corpo; non bisogna dimenticare che il comportamento non verbale esprime la maggior parte del significato della nostra comunicazione. Stare attenti dunque anche all’uso che si fa di strumenti quali il fischietto per richiamare l’attenzione dell’allievo, cercando di non associare significato punitivo o di rimprovero a questo strumento, ma che esso sia di ausilio nel richiamare l’attenzione dell’allievo senza però significare “errore”, che può bloccare il bambino nella sua espressività.

So che tutto ciò non è cosa semplice ma richiede al contrario un grande impegno e apertura del mister in quanto essere umano prima di tutto. Ma, come ogni cosa, per chi vuole essere in continuo miglioramento la consapevolezza è il passo da cui partire. A questo proposito, per chi si riconosce in tale volontà, suggerisco di tenere un diario nel quale annotare le proprie riflessioni sugli allenamenti, gli errori, i punti di forza, ciò che va modificato e no, dopo ogni seduta di allenamento. Bisognerebbe chiedersi: Come l'ho programmata? Gli obiettivi sono stati raggiunti? Come erano i miei presupposti personali (serenità, voglia di allenare) prima di iniziare? Che cosa mi ha messo in difficoltà? Come ho affrontato i problemi che si sono presentati? Quanto positivi sono stati i miei interventi? Quanto ho contribuito al miglioramento della vita di gruppo e dei rapporti interpersonali? Ho lasciato spazio all’aspetto ludico e alla creatività dei miei ragazzi? Infine annotare eventuali note da ricordare. Buon lavoro.


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